ImagoRevolution: arte e migranti

A cura di www.imagorevolution.info

Gli artisti contemporanei alle voltre riescono ad interpretare meglio di molti giornalisti, commentatori e pensatori quello che sta succedendo a coloro che, per le ragioni più diverse, fuggono e migrano. Ci sono molti esempi in questi ultimi anni di artisti che hanno scelto di sensibilizzare il proprio al tema. Un primo caso è quello di Corrado Levi che nell’estate del 2015 si trovava sulla spiaggia di Otranto per suonare il violoncello davanti al mare. Notò una grande quantità di vestiti abbandonati dai migranti, lasciati lì perché troppo bagnati o troppo consumati dal viaggio. Levi decise di raccoglierne alcuni e di indossarli tutti iper poi farsi fotografare. La foto Vestiti di arrivati (2015) è diventata vitrale.
Le migrazioni sono diventate, negli ultimi anni e in culture anche molto diverse, un tema importante dell’arte contemporanea. Lo ha compreso bene, non senza suscitare polemiche, l’artista dissidente cinese Ai Weiwei che ha aperto uno studio a Lesbos, l’isola greca meta della gran parte degli sbarchi recenti, documentando il dramma dei migranti su Instagram con centinaia di immagini. Si è poi sdraiato sul bagnasciuga imitando il piccolo bambino siriano, con la maglietta rossa e i pantaloncini blu, morto annegato e depositato dalle onde sulla spiaggia della penisola di Bodrum, in Turchia. Tempo fa anche su questo sito l’artista Andrea Sartori aveva creato un’opera Just Colors per #imagorevolution per quella foto. ImagoRevolution è un’operAzione con un duplice effetto: neutralizzare il pathos collettivo e innalzare le coscienze di questo pianeta.

 

Opera di Andrea Sartori, Just Colors

 

Un altro esempio è quello dell’artista palestinese Khaled Jarrar ha viaggiato lungo la frontiera, divisa da un’impenetrabile barriera che divide il Messico e gli Stati Uniti, da San Diego/Tijuana a El Paso/Juarez. A Ciudad Juarez ha realizzato una lunghissima scala protesa verso il cielo, fatta di pezzi divelti dal divisorio del confine. Poi, a bordo di un pullmann dell’associazione Culturunners, ha intrapreso un viaggio per gli Stati Uniti atto a sensibilizzare altri artisti al problema dei clandestini messicani.
In questi giorni è estremamente diffusa su internet la foto di quei due migranti, un papà messicano con la figlia stretta a sè trovati senza vita nel fiume Rio Grande. Abbiamo scelto in questo caso di proporvi due rivisitazioni dell’immagine, la prima di Pasquale Testa e la seconda di Vincenzo Zoda.

 

 

 

Uno degli artisti più sensibili, tra i primi, all’esperienza dei fuggiaschi è l’albanese Adrian Paci, arrivato lui stesso come migrante in Italia nel 1992.
La sua opera più celebre si intitola Centro di permanenza temporanea (2007): la foto mostra un gruppo di persone, evidentemente degli immigrati, che sono saliti ordinatamente sulla scaletta di un aereo, ma nello spazio vasto della pista non si intravede nessun velivolo.

Di questi giorni la performance alla stazione di Padova ideata dall’artisa Andrea Dodicianni. “Per me loro possono anche annegare” si legge su un cartello, la cui affermazione porta la firma di Fabio, 23 anni. Accanto, un’altra frase che recita: “Non abbiamo mica bisogno di questa feccia”. E così via per un totale di dodici scritte tante quante sono le salme coperte da teli bianchi che nella mattinata di mercoledì 26 giugno numerosi passanti hanno trovato nel piazzale antistante la stazione di Padova.
Lavoratori pendolari, studenti, turisti hanno incrociato i loro sguardi su quella che è l’installazione provocatoria dell’artista Andrea Dodicianni e realizzata grazie al supporto della sezione padovana della onlus Avvocato di strada.

 

Nell’immagine di copertina: Adrian Paci, Centro di permanenza temporanea, 2007

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